Auguri Diego, simbolo eterno del gioco più bello del mondo
Sessantadue anni avrebbe compiuto oggi Diego Armando Maradona, el Pibe de Oro, la mano de Dios, El Dies più conosciuto al mondo, ritenuto il calciatore più forte della storia.
Due anni fa un arresto cardiaco, sulle cui cause è ancora in corso un’inchiesta, lo ha sottratto ai suoi affetti, ai suoi tifosi, ma soprattutto al popolo napoletano che in quel Masaniello venuto da Lanus, sobborgo della capitale argentina, si era rivisto, identificato, unito.
Se, per, caso si aprono qua e là le bacheche dei tifosi del Napoli, soprattutto quelli con qualche capello bianco in più, si può leggere un “Buon Natale” in più parti. Quasi un oltraggio, una visione esagerata della dimensione calcistica di un personaggio che, fuori dal rettangolo di gioco, ha spesso fatto discutere. Ma accade, ed oggi per due popoli che hanno fatto del calcio una religione di vita, quello argentino e quello napoletano, oggi è Natale.
Potrebbe sembrare la solita, fantasiosa, eccessiva esaltazione di un campione sportivo. Invece nel mondo è nata una vera e propria “Iglesia Maradoniana”. E’ il 30 ottobre 1998 (il giorno del trentottesimo compleanno di Maradona) quando nella città di Rosario, due giornalisti argentini, Hernán Amez e Alejandro Verón, incominciarono per scherzo a festeggiare il giorno della nascita di Diego Maradona come se fosse il giorno di Natale. Ai due si aggiunse Héctor Capomar e, nell’anno successivo, Federico Canepa. Furono questi quattro a inventare (sempre in maniera goliardica) e a rendere pubblica nel 2001 la nuova religione, sancendo l’inizio dell’Era Maradoniana nel 1960 come “anno 0”: il 2021 è quindi considerato il 61 D.D. (Despues de Diego, Dopo Diego).
Questo “culto” conta oltre 820.000 seguaci iscritti in più di 60 paesi nel mondo e 600 città (in maggioranza in Argentina, tra i quali altri calciatori illustri come Ronaldinho, Michael Owen, Riquelme e Lionel Messi, altri personaggi famosi come il cestista Emanuel Ginobili, nonché lo “scopritore” di Maradona, Francisco Cornejo).
Dall’Argentina al Vesuvio, dalla Pampa al mare di Napoli. E’ nella città partenopea che il genio e la sregolatezza di Diego si sono incrociati per non lasciarsi mai più. Due scudetti vinti in una squadra del Sud che mai aveva trionfato in Italia, un misto di indipendentismo, voglia di rivalsa, passione per quello che resta solo uno sport bellissimo, hanno cementato un patto: quello tra l’unico vero dieci della storia azzurra e un popolo che, ancora oggi, non smette mai di cantare Diego Diego allo stadio.
Un ricordo che va oltre le vittorie, supera i freddi dati statistici dei gol, delle prodezze. Perché Diego ancora oggi per ogni tifoso napoletano è un ricordo: cosa eravamo mentre quel Napoli vinceva, dove eravamo mentre prendevamo a schiaffi l’odiata Juventus, con chi eravamo quando quel Napoli dopo dieci minuti era già in vantaggio.
Un passo di tango nella memoria, un sorriso sbarazzino e furbo sotto una montagna di capelli ricci. Dentro il cuore e l’anima l’inferno, su quel prato la felicità di un bambino che ha fatto divertire milioni di tifosi.
Auguri Diego, buon compleanno ovunque tu sia.